Familiari, amici, fidanzati, coniugi, colleghi di lavoro, compagni di viaggio….quanti incontri si fanno nella vita, alcuni restano tali, altri evolvono in rapporti duraturi.

Nella vastità dei rapporti umani, di qualsiasi tipo, tendenzialmente una persona sceglie da chi farsi conoscere, amare, frequentare. Ma come avvengono queste scelte?

Per lungo tempo filosofi e ricercatori hanno indagato questo costrutto e varie sono state le interpretazioni date a questo tipo di comportamento. Fino a non molto tempo fa si è ipotizzato, con un largo consenso intellettuale, che le scelte compiute dall’uomo fossero basate su ragionamenti legati alla logica e alla razionalità; per la donna le considerazioni sono state le medesime, accordando un aspetto emotivo più importante da aggiungere a tale visione.

Recentemente, anche grazie a studi condotti a livello di neuroimaging, si è ipotizzato che l’uomo sia meno razionale di quanto si è creduto per lungo tempo. Le scelte compiute sono legate ad altri parametri: economia di pensiero, strategie di coping già utilizzate, uso di pregiudizi e stereotipi, uso di informazioni già presenti in memoria, rievocazione di informazioni connotate emotivamente. Questo significa che una persona, posta dinanzi ad una scelta, non elaborarà sul momento tutte le informazioni di cui dispone e sarà attivo nella ricerca di altre, al fine di padroneggiare l’intero sistema di informazioni, ma procederà in economia, accedendo ai significati già presenti in memoria, a livello razionale ed emotivo, e creando un nuovo ponte tra la propria conoscenza dell’oggetto in esame e le inferenze che la mente produce al riguardo.

Se tale procedimento di scelta si traspone a livello sociale, emerge uno scenario di relazioni umane molto vario ed eterogeneo, dato dalle singole esperienze di un individuo, che dalla nascita attraverso le relazioni primarie con le figure di riferimento, giungono fino ad oggi, e che sono basate sull’interpretazione emotiva memorizzata che funge da guida.

Quando una persona si relaziona con un’altra, ciò che la guida è l’idea che si è formata degli altri, attraverso le interazioni primarie nell’infanzia: se l’Altro è interiorizzato come sufficientemente buono, disponibile, accogliente, una persona crescerà con l’idea di sé come amabile, desiderato, buono, e la ricerca dell’Altro sarà dettata da queste caratteristiche.

Quando invece l’infanzia è caratterizzata da esperienze negative, l’idea di come sono fatti gli altri avrà altre caratteristiche: inaffidabilità, trascuratezza, abbandono; l’idea di sé potrebbe rivestire significati legati alla non amabilità, essere sbagliati, essere cattivi, e la relazioni umane attuali potrebbero riflettere questo sistema di significati.

E’ bene tenere a mente che gli elementi sopra citati non sono assoluti (bene-male), ma sono combinati in vari modi e in diversa misura,  ogni esperienza di vita è unica e, pur partendo da un sistema di riferimento creato nell’infanzia (attraverso le prime relazioni significative con la figura di riferimento), può assumere diverse direzioni, in base alle esperienze successive.

Osservando il proprio repertorio sociale, è comune interrogarsi riguardo al perchè una relazione sentimentale è finita, un amico ci ha tradito, non si va d’accordo con i colleghi di lavoro, i rapporti con i vicini di casa sono conflittuali: la risposta a tali interrogativi non è semplice né immediata, il focus della nostra analisi è diretta all’esterno (gli altri sono cattivi o sbagliati) ma anche verso l’interno (sbaglio sempre tutto, è colpa mia), e spesso le risposte che emergono in noi sono cariche di giudizio, rabbia, sensi di colpa, vergogna.

Quando queste analisi  divengono assolute, rigide, non passibili di modifica, è lì che insorge il malessere esistenziale, che può trasformarsi con il tempo in schemi permanenti della personalità, con conseguente peggioramento della qualità di vita, insorgenza di disturbi psicologici, conseguenze a carattere sociale (ritiro).

Articoli consigliati